Un vivace e fruttuoso dibattito sul problema del restauro dei giardini storici è in corso da molti anni in Italia e in Europa.
Su questo tema il contributo di Pier Fausto Bagatti Valsecchi, che doveva ora parlare a questo convegno, è stato importantissimo, direi determinante nella fase iniziale di questo dibattito, e certamente oggi Bagatti Valsecchi, Presidente della Commissione giardini storici del Ministero dei Beni Culturali, avrebbe saputo suggerirci spunti originali. Io mi limiterò ad alcune schematiche osservazioni e a un commento alla carta del restauro.
Particolarmente significativo è sempre stato il contributo italiano. Il convegno "Tutela e valorizzazione delle ville e giardini italiani" organizzato nel 1959 dalla Sezione lombarda di Italia Nostra può essere assunto come momento iniziale di una rinnovata attenzione alla conoscenza e la conservazione di un inestimabile patrimonio che, per ignoranza, per abbandono, per motivi speculativi, si andava rapidamente perdendo. Ma si è trattato quasi ancora di una anticipazione, di un grido d'allarme che non ha avuto in un primo tempo seguito.
Nella stessa Carta del Restauro di Venezia del 1964 non si parla ancora dei giardini. Pochissimo è detto nella relazione della Commissione Franceschini "Per la salvezza dei beni culturali in Italia" del 1967, dove è chiarita la definizione di "bene ambientale" ma non si parla se non di sfuggita di giardini. Manca ancora completamente una coscienza piena del valore artistico e storico dei giardini antichi al di là di una valutazione esclusivamente ambientale. Anzi, molto spesso, assistiamo a una pericolosa riduzione dei giardini a "zone verdi", quindi giardini non più percepiti nella loro qualità storica e artistica, nella loro dimensione culturale, ma solo nella accezione di verde d'uso, di verde pubblico, accezione estremamente pericolosa per la loro reale conservazione.
La maturazione della problematica sulla conservazione e quindi il restauro dei giardini storici avviene solo negli anni Settanta. Risale al 1971 il primo convegno organizzato a Fontainebleau dal Comitato internazionale dei giardini e siti storici (costituito dall'ICOMOS-IFLA). Lo stesso Comitato, al convegno di Firenze del 1981, arrivò all'approvazione di una "Carta dei Giardini Storici", detta appunto Carta di Firenze, che ebbe il merito di definire i giardini storici con il riconoscimento della loro natura monumentale, superando quella di semplice contorno di edifici monumentali. Proprio Pier Fausto Bagatti Valsecchi commentava "… stante la specificità dei giardini, come monumenti caratterizzati dalla presenza di materiali viventi, era sentita la necessità di indicare alcuni principii e metodi che precisassero quelli di natura più, generale contenuti nella Carta del Restauro di Venezia del 1964".
Giardino come "monumento" e giardino come "documento": ecco i due termini che dobbiamo in qualche modo collegare. Documento in cui tutti gli elementi costituiscono "storia", in cui tutti gli elementi vanno studiati, confrontati, per quanto possibile conservati.
La Carta del Restauro, oltre i primi articoli riguardanti la definizione dei giardini, precisa gli obiettivi: "La salvaguardia dei giardini storici esige che essi siano identificati ed inventariati" (art. 9). Solo questo infatti permetterà in primo luogo la tutela e poi la precisazione di eventuali interventi di manutenzione, conservazione e restauro. Così "Il giardino storico dovrà essere conservato in un intorno ambientale appropriato. Ogni modificazione dell'ambiente fisico che può essere dannosa per l'equilibrio ecologico deve essere proscritta …" (art. 14). Quindi una particolare attenzione va data non solo al giardino ma all'ambiente.
Mi piace ricordare l'importanza del contesto per tutti i giardini di ville che, se suburbani, erano tutti in relazione, in comunicazione visiva, se collocati più nella campagna erano comunque la conclusione più pregiata di un'area coltivata, con strade d'accesso che si sviluppavano nel territorio in modo mai casuale ma determinato da percorsi storici di cui quasi sempre si conservano tracce che vanno lette con attenzione.
Circa il restauro si precisa "Ogni restauro e a maggior ragione ogni ripristino di un giardino storico dovrà essere intrapreso solo dopo uno studio approfondito che vada dallo scavo alla raccolta di tutta la documentazione concernente il giardino e i giardini analoghi, in grado di assicurare il carattere scientifico dell'intervento" (art. 15).
"L'intervento di restauro deve rispettare l'evoluzione del giardino in questione. Come principio non si potrà privilegiare un'epoca a spese di un&à39;altra a meno che il degrado o il deperimento di alcune parti possano eccezionalmente essere l'occasione per un ripristino fondato su vestigia o su documenti irrecusabili" (art. 16).
Le conseguenze di questa dichiarazione dovrebbero essere estremamente pratiche, concrete. Di fronte al disegno generale di un giardino antico, al taglio dei viali, alla distribuzione di certe siepi, all'organizzazione di certe masse di verde, oltre che, ovviamente, alla presenza o alla traccia di elementi architettonici quali muretti, sedili, pavimentazioni, per non parlare di fontane o tracce di opere idrauliche, gli architetti di oggi e i giardinieri non hanno che un compito: quello di restauratori e di conservatori, non di creatori, nel rispetto prima di tutto di quanto esiste, anche se non risponde in tutto al supposto disegno originario del giardino. Impensabile distruggere un giardino per esempio ottocentesco impostando un piano di ripristino ispirato a un impianto supponiamo rinascimentale o barocco, anche se documentato da disegni e stampe.
Così appaiono da escludere interventi di tipo selettivo, che rappresenterebbero una semplificazione di una situazione sempre complessa. Il restauro diventerebbe facilmente una operazione di falso, che trasformerebbe il giardino piuttosto che restaurarlo, né varrebbe la giustificazione di renderlo più grande e più bello.
Si tratterebbe sempre di ipotetiche restituzioni, sulla base prevalente di concetti tipologici (giardini regolari, irregolari, classici, barocchi, paesistici, romantici, ecc.), si tratterebbe di un uso distorto della storia utilizzata a fini strumentali, piuttosto operativi che conoscitivi. Diffidiamo delle forzature tipologiche, che hanno appunto un carattere riduttivo rispetto alla complessità del reale, diffidiamo di ricostruzioni su ipotesi anche allettanti, anche decorative, che possano far colpo sull'opinione pubblica. Dobbiamo accettare che a volte il recupero del giardino più antico sia solo un recupero di conoscenza, non un recupero operativo.
Forse i problemi con cui ci confrontiamo continuamente possono sembrare altri, sono i casi in cui vi è la possibilità, e quindi la necessità, di integrazioni di parti di giardini distrutti nell'immediate contiguità di un palazzo di villa. (Penso a Villa Imperiale Scassi di Sampierdarena, isolata dal suo giardino dal taglio di Via Cantore, ma soprattutto mortificata dall'utilizzo improprio dell'area di contorno che la rende totalmente estranea al suo giardino). Ancora più rari i casi in cui si pongono grandi problemi di scelta tra restauro, magari delle sole parti arboree, e ripristino, e i rispettivi limiti, i casi in cui un vero restauro comporti anche un parziale ripristino (Penso al giardino di Palazzo Doria Pamphili a Fassolo). Certo invece appaiono frequentissime le negative conseguenze di una mancata conoscenza, di una mancata manutenzione sia dei giardini privati, sia, e forse soprattutto, di giardini acquisiti dal pubblico, quindi a giardini sottoposti a una utilizzazione anche pratica, a un "consumo " prima impensabile. Anche nel caso dei giardini, come per le architetture e per tutti gli altri beni artistici e storici, la necessità di "conoscere" per conservare è indispensabile e preliminare, è compito grandissimo degli uffici preposti alla manutenzione dei giardini, e insieme compito troppo facilmente disatteso.
Siamo a un passo dal parco di Villa Doria dove avevamo quel brano eccezionale di intervento cinquecentesco che è "il lago ed isola di Adamo Centurione" realizzato da Galeazzo Alessi, che aveva incanalato acque, fatta una diga in laterizio, creato un lago artificiale e in mezzo un'isola su cui si alzava una montagna–anfratto a blocchi di pietre e stalattiti davanti alla quale, tra giochi d'acqua, erano statue di satiri e ninfe. L'ha descritto il Vasari: "copiosissimo d'acque e fontane, fatte in diversi modi belli e capricciosi". Più, che mai un brano di giardino "monumento e documento" oggi abbandonato, non solo con le statue distrutte, ma anche con la montagna antro irriconoscibile, il lago ridotto a un pantano, la diga a rischio di crollo. Veramente il compito del restauratore è quello del conservatore, pena la totale perdita dei beni che sono arrivati fino a noi e che avremmo il dovere di conservare e trasmettere.
Non insisteremo mai abbastanza sulla necessità della conoscenza delle specifiche caratteristiche del giardino che, per motivi diversi, spesso comunque auspicabili, da privato diventa pubblico, perché la sua conservazione sia corretta, e non diventi solo un bene di consumo. Nello stesso spirito, nello stesso rispetto della storia, non mettiamoci a fare il falso, a costruire quei percorsi di cui non esistono tracce materiali né sono riconoscibili neanche da una fotografia aerea. Inventiamo in questo caso le soluzioni che ci sembrano più valide, sempre nel rispetto delle caratteristiche ambientali, nel rispetto dei tipi di culture, di certi tipi di essenze delle linee fondamentali del paesaggio, senza volere le "restituzioni" di giardini che non esistono più.