La difficoltà del tema propostomi, e cioè quale possa essere l'uso contemporaneo del giardino storico, deriva innanzitutto dalla difficoltà d'accordarsi sul che s'intenda con la stessa dicitura "giardino storico". Come ha ricordato la professoressa De Negri, una definizione, o quantomeno un tentativo di definizione, è apparso solo in tempi recenti ed è comunque estremamente generico.
Alla voce "giardino storico" ascriviamo, infatti, una grande varietà di luoghi: dalla villa Adriana di Tivoli ai Giardini Vaticani, dall'hortus conclusus d'impianto medievale al giardino manierista di Villa Lante, e così, via, fino al giardino romantico, come questo di Villa Pallavicini. Ma sotto tale titolazione dovremmo comprendere anche tanti giardini pubblici ottocenteschi: per esempio, qui a Genova il giardino dell'Acquasola e quello di Villetta Dinegro, a Milano il parco del Castello Sforzesco, a Roma il bellissimo e maltrattato giardino del Pincio, sopra Piazza del Popolo.
Questa difficoltà non è soltanto di natura teorica, ma è anche pratica, dal momento che richiede un'attrezzatura culturale e tecnica, che consenta di trattare coerentemente luoghi assai diversi tra loro. Diversi per dimensione, per caratteristiche climatiche, vegetazionali, orografiche, architettoniche.
Credo, quindi, che l'unico modo per affrontare l'argomento sia quello di spogliarsi della nostra eredità positivista, cercando, sull'esempio di Foucault, di riconnettere cose apparentemente lontane tra loro. Mentre preparavo quest'intervento, continuava a riaffiorare il ricordo dell'incipit del famoso saggio, Les mots et les choses, perchè, ogni catalogazione dei giardini storici in qualche modo richiama quella "certa enciclopedia cinese" inventata da Borges e che Foucault, divertito, riprende testualmente: "Gli animali si dividono in: appartenenti all'imperatore, imbalsamati, addomesticati, maialini da latte, sirene, favolosi, galli in libertà, inclusi nella presente classificazione, che si agitano follemente, innumerevoli, disegnati con un pennello finissimo di peli di cammello, che fanno l'amore, che da lontano sembrano mostri".
Similmente, dunque, mi sembra sia opportuno procedere ogni volta si parli di giardini storici.
Del resto, se osserviamo la definizione di giardino lasciataci da Francesco Milizia nel suo Dizionario d'Architettura, troviamo un'indizio di quest'impossibilità di classificazione. Il che è curioso, perché se è vero che, almeno per motivi biografici, Milizia non può essere accusato di positivismo, è pur vero che la sua pedanteria gli infondesse un'esagerata propensione al catalogo. Eppure, quando si trova a parlare di giardini, si arrende, e ci offre una tassonomia che in qualche modo ricorda quella proposta da Borges. Cosė, infatti, suddivide i giardini: "gai e ridenti, dolci e malinconici, romanzeschi e magici, sublimi, grandi e maestosi". Ma ancora piUgrave; interessante è, l'inizio del lemma "giardino", in cui testualmente parla di "giardino ad orto, a frutta, a vigna, a botanica, a delizia, a niente". Ecco, mi sembra importante soffermarsi su quest'idea di giardino "a niente". Perchè ci permette di comprendere la contraddizione in termini cui andiamo incontro nel momento in cui accostiamo l'idea di giardino che si aveva nel passato, all'idea di uso, quale siamo soliti concepirla nel presente. Soprattutto quando le ipotesi d'uso cedono all'urbanistichese di maniera e inevitabilmente tirano in ballo "fruizioni" e "fruitori".
In realtà, i principali problemi che oggi abbiamo nel capire e quindi nel conservare il giardino storico, derivano da una cultura urbanistica che %egrave; ancora irrimediabilmente figlia del funzionalismo. Per noi, appare inconcepibile che uno spazio, una porzione di suolo, risulti "a niente", cioè senza una precisa destinazione d'uso. Pensiamo, ad esempio, ai nostri piani regolatori che consistono in un'ossessiva suddivisione del territorio attraverso il reticolo della zonizzazione, cioè in un'attribuzione di funzioni univoche ad ogni pur piccolo brano di suolo. Se persistiamo in questa direzione, si finisce per forzare il giardino storico in un'idea contemporanea d'uso, che di fatto nega il suo stesso diritto di esistere. Perché il giardino storico è caratterizzato proprio dalla sua "inutilità", o quantomeno, da una certa a–funzionalità, sia che si tratti di un terreno sottratto all'uso agricolo, sia alla vegetazione spontanea.
Come indicano chiaramente gli aggettivi usati dal Milizia, il giardino storico nasce e si sviluppa in una dimensione puramente intellettuale. Il caso di Villa Pallavicini è embiematico: qui, più evidentemente che altrove, il giardino consiste in una "narrazione". Ed è questo un principio costitutivo ineliminabile, al punto che si potrebbe dire che non esista giardino storico senza la rappresentazione intellettuale di un racconto. Un racconto non necessariamente letterario, ma che può anche rivestire un interesse scientifico. Per esempio, qui a Villa Pallavicini, il Cameliaio costituisce un racconto di botanica, che affianca la narrazione principale, letteraria, condotta attraverso il gioco di citazioni e di rimandi offerto dai vari padiglioni. Si ha sempre e comunque lo svolgimento di un tema, quindi il recupero del giardino storico consiste proprio nel recupero del tema di fondo, nel renderlo nuovamente leggibile, ritrovandone il senso ed il contenuto simbolico. Come qui, del resto, è stato egregiamente fatto.
Sappiamo che le società del passato erano fortemente convenzionali. Per noi la convenzionalità è, un dato negativo, che siamo portati a considerare come espressione conservatrice e reazionaria. Ma la convenzionalità ha anche i suoi vantaggi, primo fra tutti quello di facilitare l'attività simbolica, che è il cardine della comunicazione tra gli essere umani. Senza simboli non possiamo esprimerci, non possiamo scambiare idee ed esperienze, intuizioni e sensazioni. In realtà anche noi abbiamo le nostre convenzioni ed i nostri simboli, ma, rispetto al passato, li utilizziamo in maniera meno consapevole e dichiarata. Anticamente, i giardini erano spazi per la socialità, intesi a facilitare l'incontro e lo scambio tra gli individui. Il grande numero di simboli, sotto forma di composizioni allegoriche, avevano dunque lo scopo d',offrire spunti per la conversazione, per la riflessione, per l'ammaestramento. Erano rappresentazioni tridimensionali di temi letterari, filosofici, religiosi che risultavano facilmente comprensibili proprio in ragione delle convenzioni culturali. L'invenzione del paesaggio da parte dei pittori, l'opera degli scultori, degli architetti, dei giardinieri, degli idraulici, concorreva a formare la messa in scena di concetti appartenenti ad un patrimonio condiviso. Ogni volta che un giardino si animava, dava origine a veri e propri tableaux vivants, in cui i personaggi ammessi, fossero essi protagonisti, comprimari o semplici figuranti, si muovevano con consapevolezza e disinvoltura.
Ecco dunque che la risposta al tema, mi sembra essere una sola. E cioè, che l'unico uso possibile del giardino storico sia un uso di "tipo storico" o, quantomeno, "da storici". Nel senso che deve riguardare soltanto coloro i quali siano effettivamente interessati al recupero dei contenuti simbolico–narrativi presenti in queste creazioni. Contenuti che non possono essere "attualizzati", ma che vanno invece mantenuti accuratamente nella loro dimensione storica. Ciò comporta una nuova sensibilità sociale, che deve respingere con fermezza certe ipocrisie demagogiche, ancora troppo diffuse presso la nostra cultura politica. Nei giardini storici, si deve andare per ammirare e studiare, non per giocare al pallone. Chi non è, interessato, i giardini storici, non li deve neppure avvicinare. Come alla partita vanno, pagando il biglietto, quelli che sono interessati al calcio, così nei giardini storici devono andare, pagando il biglietto, quelli che sono interessati ai giardini storici.
Non è più tollerabile che in queste creazioni d'arte, estremamente delicate e fragili, sia ammesso chiunque, per di piugrave; gratuitamente. Perché l'unica cosa che se ne ottiene è ciò che si è avuto, e purtroppo si ha ancor oggi: furti e devastazioni. Come documentano le immagini che presento, la cronaca dell'uso contemporaneo del giardino storico è la cronaca di un "sacco" quotidiano, di una rovina sistematica, molto spesso irreparabile. Per questo è necessario provvedere ad un'educazione all'uso del giardino storico. Come si parla di educazione ambientale, così bisogna insegnare ad apprezzare e a valorizzare il patrimonio culturale rappresentato dai giardini storici.
Ovviamente, tutto ciò richiede risorse economiche consistenti, perché i giardini storici costano. Costa restaurarli, costa mantenerli ed è impensabile che il solo ricavato della vendita dei biglietti d'ingresso possa bastare a coprire tali costi. Si ripresenta il solito discorso: l'Italia è il paese che ha più del 50% del patrimonio storico– monumentale dell'umanità, ma investe nella manutenzione e nella valorizzazione ditale patrimonio risorse inferiori all'uno per mille del proprio prodotto interno lordo. Bisogna quindi mobilitarsi affinché la Comunità Internazionale intervenga, del resto noi tutti sappiamo che circa tre quarti dei fondi europei destinati al nostro paese, vanno persi per l'incapacità dei nostri politici e della nostra burocrazia.
Certamente, la soluzione a tali problemi non è semplice, né immediata, ma bisogna pur iniziare. Se non altro ponendo con insistenza il tema e chiarendo, soprattutto alle generazioni più giovani, che l'urgenza della salvaguardia e della valorizzazione del patrimonio storico–artistico non è data soltanto da un imperativo morale, ma, ben più concretamente, dalle enormi potenzialità economiche ed occupazionali ch'essa comporta.
Infine è, necessario spendere qualche parola sul problema della normativa volta a regolare l'uso dei giardini storici. Su tale fronte, infatti, siamo estremamente deficitari e, purtroppo, perfino il movimento ambientalista, che dovrebbe essere il più sensibile ed attento al problema, sembra in ritardo. Infatti, nella bozza di regolamento comunale del verde, elaborata da varie associazioni nel '92, per altro mai recepita dall'amministrazione, il giardino storico è menzionato solo incidentalmente nell'elenco degli spazi a verde pubblico. Inoltre, quando si parla della Commissione che dovrebbe regolamentare e controllare l'uso di questi spazi, non si indica neppure un rappresentante della Soprintendenza, né uno storico dell'arte. Quindi, nell'articolo dedicato alle sanzioni per chi danneggia gli spazi a verde, gli unici atti punibili sono quelli rivolti contro gli impianti vegetazionali, mentre non si prevede alcunché contro i vandalismi perpetrati ai danni delle costruzioni e dei manufatti che compongono l'arredo tipico di ogni giardino storico.
Così, questi oggetti preziosi, talvolta anche facilmente asportabili e ancor più danneggiabili, rimangono in balia delle azioni più stupide e distruttive. Sembra che nessuno si renda conto che, mentre gli impianti vegetazionali possono, nella maggior parte dei casi, essere rimpiazzati, questi oggetti, una volta persi, sono persi per sempre.
Certo, per fare ricrescere un albero che ha 300 o 500 anni bisogna aspettare altri 300 o 500 anni, ma una statua di pietra rinascimentale o barocca, anche se rifatta nel migliore dei modi, non sarà mai più la stessa cosa.
Proverò ora, attraverso alcune diapositive, ad illustrare quale sia l'uso che, dei giardini storici, viene fatto nella nostra città.
Voglio iniziare da una delle più belle ville genovesi, la villa Scassi di Sampierdarena, capolavoro di Galeazzo Alessi, un tempo detta "la Bellezza". Il giardino, benché pesantemente mutilato agli inizi del secolo dall'apertura di via Cantore, quindi rimaneggiato e a lungo trascurato, ha subito sorte migliore dei giardini delle altre ville della zona. A differenza di quelli, è in parte sopravvissuto ed oggi è finalmente oggetto di restauro. Tuttavia, colpisce vedere l'area compresa tra via Cantore e la villa interamente occupata da un campo da tennis. Anzi, la stessa facciata verso il giardino sostituisce, su quel lato, la recinzione del campo, il cui terreno di gioco arriva a diretto contatto con l'edificio. Mi pare, quindi, evidente che l'uso sportivo porti alla cancellazione del giardino storico e che, per questo spazio, sarebbe auspicabile un allestimento, "per analogia", con la parte del giardino sopravvissuta.
Altra villa di grande interesse, è la villa Piaggio in Corso Firenze. Una delle più eleganti architetture neoclassiche genovesi, realizzata intorno al 1830, su disegno di Ippolito Cremona, in luogo di una pre–esistente villa Pinelli–Gentile. Il giardino potrebbe avere grande bellezza: presenta la tipica struttura a terrazze, senonché il parterre sul terrazzamento più ampio è completamente snaturato dalla presenza di un campetto da gioco, che, tra l'altro, risulta essere pochissimo utilizzato. Laddove un tempo doveva aprirsi un giardino geometrico, disposte simmetricamente rispetto all'asse centrale, mirato su un piccolo ninfeo, si trovano i miseri resti di due statue settecentesche, che dal tipo di pietra impiegata, direi di provenienza veneta. Entrambe mutilate, una giace al suolo ancora legata con la corda usata per abbatterla. Immagini che non richiedono commento e che, tristemente eloquenti, testimoniano quanto dicevo prima, e cioè l'incuria e la mancanza di tutela cui sono abbandonati questi arredi, così, importanti per la comprensione e l'apprezzamento del giardino storico. Ma la cosa più eclatante è che queste immagini non riguardano una villa dispersa in una qualsiasi zona periferica, in una landa suburbana soggetta al degrado sociale e alle problematiche ricorrenti in tutte le periferie del mondo. Riguardano, invece, una villa, tutto sommato ben tenuta, che ospita al suo interno la sede del Consiglio di Circoscrizione e perfino un Comando dei Vigili Urbani. Oltre a ciò, si trova nel cuore del quartiere di Castelletto, una delle zone che si considerano "meglio abitate" della città.
In Villetta Dinegro, uno dei punti più spettacolari è dato dall'angolo occidentale del contrafforte cinquecentesco, che sovrasta l'imboccatura della galleria tra Corvetto e Portello. Si tratta di una piattaforma a quarto di circonferenza che abbraccia un meraviglioso panorama del porto e della città antica, da Carignano alla Lanterna. Perimetrano lo spazio alcuni lecci, i cui tronchi si alternano ai fusti di 12 mezze colonne, che un tempo costituivano i piedistalli di altrettanti busti cinquecenteschi di genovesi illustri. L'impressione che se ne riceve oggi è quella di una bocca sdentata: delle dodici antiche effigi, ne rimane una sola, quella del Caffaro. Al suolo, un tappeto di siringhe, lascia ben poco spazio alla fantasia circa la fine subita dagli altri undici personaggi, forse in cerca d'acquirente presso il mercato illegale dei marmi e delle sculture d'antiquariato. Questo caso, testimonia la grande importanza che assume l'opera di catalogazione degli arredi dei giardini storici. Bisogna procedere con il metodo delle Soprintendenze: campagne fotografiche e di schedatura, affinché, in caso di furto, si abbiano gli strumenti per l'identificazione e il recupero degli oggetti trafugati.
Infine un'altra villa alessiana, la stupenda Villa Giustiniani Cambiaso in Albaro, oggi sede della facoltà di Ingegneria.
Per anni si è ritenuto che l'uso universitario fosse tra i più consoni e rispettosi degli edifici antichi, ma direi che
i fatti, purtroppo, dimostrano il contrario. Il parterre su cui imposta la villa, rappresenta il punto di contatto tra l'architettura
dell'edificio e l'architettura del giardino. In origine, era risolto con grande cura, ricorrendo ad elaborare pavimentazioni di
ciottoli bianchi e neri, quindi in superfici inghiaiate, il cui perimetro era delimitato da cordoli di pietra sagomata. Tutto ciò,
qui, è scomparso, cedendo ad uno squallido piazzale ricoperto d'asfalto, che l'uso quotidiano ha trasformato in
parcheggio sovraffollato. Sopravvivono alcuni laceri reperti degli arredi originali, come le sedute in muratura ed ardesia, nonché
le rampe d'accesso ad ammattonato, con le caratteristiche "ciappelle" disposte a coltello. Benché, con una
modica spesa, tutto ciò, potrebbe essere restaurato e mantenuto, lo stato d'abbandono permane da tempo.
Evidentemente, ai docenti ed agli studenti universitari, dei giardini storici non importa un granché.