La camelia nella letteratura
Rosa Elisa Giangoia



Il fiore della camelia entra nel mondo europeo alonato del fascino sottile dell'Oriente, Infatti la camelia (lat. scientif. camellia), che prese nome, ad opera di Linneo, dal gesuita moravo, padre George Joseph Kamel, missionario nell'Asia orientale, che ne importò la pianta in Europa nella prima metà del Settecento, è originaria del Giappone, dove, come in Cina, era al centro dell'arte e della letteratura. Le sue varietà più pregiate venivano riservate ai nobili e quindi alle persone elevate e colte, che, d'altra parte, avevano come loro prerogativa di casta la capacità di disporre fiori e giardini, sviluppando un complesso simbolismo.

In Francia l'attenzione per la camelia, fiore dell'Estremo Oriente, si colloca nel generale clima di interesse per le manifestazioni culturali della Cina e del Giappone, a cui diedero tanto impulso i fratelli Edmond e Jules de Goncourt sulla metà dell'Ottocento, anche se la prima a far conoscere le camelie alle signore della buona società parigina era stata l'imperatrice Giuseppina, che ne aveva alcuni esemplari a fiore semplice.

Questo fiore, poi, entrò in modo prepotente nell'universo letterario con La signora delle camelie (La dame aux camélias, 1848), romanzo che decretò il successo di Alexandre Dumas figlio. Il caso della protagonista, Marie Duplessis, situato nell'ambiente spregiudicato della galanteria di lusso, si ispirava ad una tormentata vicenda vissuta dallo stesso Dumas. La protagonista Margherite Gautier si adorna solo e sempre di camelie. "Ogni volta si rappresentasse una commedia nuova, si era certi di vederla apparire con tre cose che non la lasciavano mai, poste sul parapetto del suo palco di prima fila: l'occhialino, un sacchetto di dolci e un mazzo di camelie. Venticinque giorni il mese le camelie erano bianche; gli altri cinque giorni, rosse, né mai si seppe la ragione di questo cambiamento di colori che i frequentatori dei teatri dove ella più andava, e i suoi amici, avevano, come me, più rilevato. Non s'eran mai visti a Margherita altri fiori che le camelie; così da Madame Barjon, la sua fioraia, avevano finito col soprannominarla la "dama delle camelie", e il soprannome le rimase".

Così diceva di lei, nell'opera letteraria, Armand Duval, il suo amante.

Sulla sua tomba, invece, pur sempre per volere del suo innamorato, fiorirono solo camelie bianche: "Difatti era sotto i miei occhi un'aiuola di fiori che non avresti mai detto una tomba, se non l'avesse confermato un marmo bianco con inciso un nome. Questo marmo stava posato diritto: un cancelletto di ferro chiudeva intorno il terreno acquistato e camelie bianche ne coprivano tutto il suolo". "Ed ogni volta che una camelia appassisce, io ho l'ordine di sostituirla". Così osservava il giardiniere addetto alla tomba.

Ii romanzo nel giro di pochi anni divenne opera teatrale. Nell'omonimo dramma, del 1852, Margherite rimprovera espressamente un suo ammiratore che le ha fatto recare un mazzo di "rose e lillà", dicendo che la sua condizione di malata le permette solo di godere delle camelie, in quanto questi fiori, privi di profumo, sono gli unici che non la fanno tossire.




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La camelia si addiceva all'eroina in cui Dumas aveva voluto rievocare Marie Duplessis, sua sfortunata compagna e amante, uccisa dalla tisi, perché i Giapponesi la consideravano simbolo della Vita stroncata, a causa del fiore che si stacca intero dallo stelo invece di cadere petalo dopo petalo, come avviene in genere. Ma la pianta ha dato luogo anche ad un simbolismo opposto, quello della Longevità, poiché vive a lungo.

In Italia le prime camelie furono messe a dimora verso il 1760 nel parco della Villa Reale di Caserta, per desiderio della regina Maria Carolina d'Asburgo Lorena. Anche la vicenda di Margherite Gautier divenne molto popolare da noi, soprattutto in quanto ripresa nella Violetta, protagonista della Traviata (1853), melodramma musicato da Giuseppe Verdi, su libretto di Francesco Maria Piave. Qui però non si fa riferimento a nessun fiore specifico.

Nell'Ottocento la camelia divenne il fiore prediletto dall'aristocrazia e dall'alta borghesia europea, elemento di eleganza soprattutto maschile, più moderno rispetto al garofano. Nel linguaggio segreto dei fiori, il sélam, così importante nella seconda metà del secolo scorso, la camelia assunse "una generica colorazione peccaminosa, come colei che la portò nel celebre romanzo" (Cattabiani), ma anche il significato di costanza e perseveranza.

Nelle opere letterarie successive la camelia vive sia come fiore reciso, di cui si nota soprattutto l'essere privo di profumo, sia come albero, che conferisce una nota di gradevolezza a paesaggi anche diversi e lontani tra di loro.

A disprezzare questo fiore, proprio in quanto privo di profumo, è, ad esempio, Enrico Nencioni che la definisce "insipida camelia". Sulla stessa notazione si sofferma anche Giuseppe Giusti quando dice:

spunteranno foglie e fiori
senza puzza e senza odori,
come le camelie.

In Ippolito Nievo la camelia è elemento ornamentale di un tipico giardino del tempo: "All'estate il tuo giardinetto vede le camelie e i rododendri sostituirsi ai gerani e al rosmarino soli adornamenti d'una volta",. Emilio Praga la menziona nella sua poesia Calendario, in cui dà le prescrizioni per le cure del giardino nei vari mesi dell'anno. A proposito di Gennaio dice appunto:

Amate i fior? di paglia circondate
la gracil viola ed il giacinto;
alla camelia, alla azalea donate,
e al variopinto tulipano,
ed all'ellera, ed al lillà
l'aure negate alle deserte aiuole:
certo anche ai fior pensò chi le scintille
rapiva al sole!

In un altro testo invece inserisce la camelia, probabilmente per il suo colore bianco e per i riverberi di disfacimento mortuario che le derivano dalle opere di Dumas, in un contesto macabro–funebre, in linea con gli atteggiamenti più di rottura del gusto scapigliato: Questa bianca camelia artificiale, prima d'ssere un fiore fu un cero di funerale.


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Varie e diversificate sono le presenze letterarie della camelia nella produzione letteraria italiana tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del nostro secolo. La incontriamo anche in un contesto un po' scanzonato nel Pinocchio di Carlo Collodi, come elemento ornamentale del "ciuchino Pinocchio", che appunto "Era tutto agghindato a festa con fibbie e borchie d'ottone; due camelie bianche agli orecchi: la criniera divisa".

Gli usi letterari che si fanno della camelia sono però prevalentemente in rapporto al suo colore bianco o rosso, per cui diventa elemento di comparazione per il bianco in Alfredo Oriani, che, per tratteggiare con pochi tocchi una ragazza, dice: "A diciott'anni … alta, flessibile, bianca come una camelia, bionda, cogli occhi neri". Qui il paragone con la camelia conferisce al breve ritratto della giovane donna un che di elegante, di delicato, quasi un tocco di raffinatezza, mentre nei versi di Ada Negri:

La lampada velai, ché il lume agli occhi
non la ferisca. Come lunga l'ombra
delle ciglia sul viso! Come immoto
il viso, bianco … una camelia bianca

il paragone del pallore del viso con la camelia ci riporta a qualcosa di malato, ad un preludio di morte.

Ma la camelia non è solo bianca, i suoi petali possono anche accendersi di un rosso allusivo di sentimenti di passione, così nella novella Di là dal mare dove Giovanni Verga scrive: "Delle camelie ce n'erano tante e superbe nella splendida serra in cui giungevano soffocati gli allegri rumori della festa, molto tempo dopo, quando un altro ne aveva spiccata per lei una purpurea come di sangue, e gliela aveva messa nei capelli".

Ma la camelia è pure rosa, un colore delicato, ma anche ambiguo, per uno scrittore come Aldo Palazzeschi, che con riferimento a questo fiore così tratteggia un suo personaggio: "E un'altra cosa sempre uguale su cui erasi fissata la mia curiosità: all'occhiello del tait, o a quello del paltò, una camelia rosa simile molto al carname delle guance, perché l'artifizio riusciva a dare il tono molliccio e caldo del neonato a quelle vecchie fibre".

Secondo Alfredo Cattabiani ogni varietà del fiore reciso di camelia "esprime un sentimento diverso: quella a fiore bianco doppio dice: "li mio pensiero è per té"; la camelia a fiore bianco scempio evoca l'amore materno: regalatela dunque a vostra madre. La camelia a fiore di anemone rosso rimprovera: "Un voto fallace"; quella a fiore rosso scempio parla di: "Amore e speranza"; se è di color rosa esclama: "Ti ritrovo infine", mentre la rosso sangue lamenta: "Affanno" e la sasanqua rosea promette: "Saprò tenerti, non mi sfuggirai", la camelia variegata simboleggia infine "Amore, Fede, Speranza".

Questo complesso sistema di significati rimane però estraneo ai nostri scrittori, che fanno un uso sobrio e limitato del fiore della camelia, senza caricano di eccessive simbologie. Due soli poeti lo inseriscono come elemento decorativo del paesaggio. Giosuè Carducci in Piemonte così tratteggia con pochi tocchi il fresco paesaggio fluviale del Portogallo dove Carlo Alberto ha stabilito la sua dimora di sovrano in esilio dopo la sconfitta di Novara:

Oh sola e cheta in mezzo de' castagni
villa del Douro,



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che in faccia il grande Atlantico sonante
a i lati ha il fiume fresco di camelie.

Eugenio Montale in una delle sue più antiche poesie, Riviere, connota il paesaggio dell'estremo levante della Liguria con sobrie pennellate di elementi naturali, tra cui gli alberi di camelie dai fiori pallidi, memoria forse inconsapevolmente romantica nell'allora giovane poeta:

Riviere,
bastano pochi tocchi d'erbaspada
penduli da un ciglione
sul delirio del mare;
o due camelie pallide
nei giardini deserti,
e un eucalipto biondo che si tuffi
tra sfrusci e pazzi voli
nella luce;
ed ecco che in un attimo
invisibili fili a me si asserpano,
farfalle in una ragna
di fremiti d'olivi, di sguardi di girasoli.

Nella produzione poetica successiva la camelia non comparirà più, né in Montale, che conferirà significati simbolici ad altri fiori, soprattutto al girasole, che già occhieggia da questi versi giovanili, né in altri tra i poeti della più rilevante tradizione novecentesca. Forse perché la camelia, troppo carica di eredità ottocentesche finisce per entrare nel novero delle gozzaniane "buone cose di pessimo gusto", anche per la sua costante presenza tra i fiori artificiali di seta, proprio per la facilità di riproduzione che la sua configurazione regolarmente compatta consentiva. Sull'inizio del nostro secolo, poi, in consonanza con il gusto liberty, tendono ad affermarsi altri fiori dalle linee più mosse e frastagliate (iris, lillà, glicine), ma, soprattutto in Francia, con il crescere dell'attenzione nei confronti dell'opera di Marcel Proust, si impone la cattleya (tipo particolarmente elegante di orchidea), come fiore che porta l'immaginazione ad una sfera amoroso–sensuale. Dobbiamo poi anche considerare che tutti i poeti del nostro secolo tendono ad una presenza sobria e misurata dei fiori nei loro testi, proprio per il carattere stesso della loro poetica che li porta a prendere le distanze dalla più usurata maniera romantica ottocentesca che tendeva a stabilire una troppo scontata e semplicistica identità tra il fiore e la poesia, in base all'assunto aprioristico che il fiore fosse di per sé un elemento di poeticità.


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