Proprio perché la camelia è spesso parte essenziale del giardino, è difficile distinguere tra di loro le varie entità L'opera dell'uomo nei confronti di una pianta così bella, dai fiori luminosi e dalle foglie sempreverdi, è intervenuta a modificare la struttura originale della camelia ed ora è difficile farsi strada tra i diversi cultivar che si mescolano, si distinguono, si nascondono o risaltano nei nostri giardini. I foricoltori hanno determinato negli anni passati, e ancor più, possono determinare adesso, rilevanti cambiamenti che riguardano l'apparato vegetativo della camelia e, specialmente, che ne variano l'aspetto del fiore per dimensioni, colore, variegatura, profumo. È compito di specialisti del settore orientarsi tra varietà, forme e cultivar.
Gli elementi principali che permettono ai floricoltori di distinguere le varie entità del genere Camellia sono: la forma e il colore del fiore, la presenza o l'assenza di profumi diversi, il portamento della pianta, il periodo della fioritura durante l'anno. La combinazione di questi ed eventualmente di altri elementi può dare indicazioni che ora saranno appena accennate.
Si vuole qui raccontare qualcosa riguardo al viaggio compiuto dalla camelia che, originaria della Cina, alcune centinaia di anni orsono è arrivata fino in Europa: per questo è necessario prendere in considerazione i taxa meglio conosciuti, con una suddivisione di carattere sistematico.
La coltivazione e l'ibridazione delle camelie nei luoghi di origine risale certamente ad epoche antichissime: Quan-Shang cita come prima raffigurazione di un fiore di camelia una pergamena cinese dell'anno 1000 d.C. È certo che la pianta, perfetta nelle forme, è coltivata a lungo nei giardini orientali sino a che non viene conosciuta anche in Europa a partire dalla fine del '600, quando Inglesi e Portoghesi, raggiungendo territori nuovi nelle Indie orientali, possono incontrare da vicino questo fiore, molto decorativo, facilmente adattabile al clima dei giardini europei.
L'ingresso ufficiale in Europa di Camellia, in quanto genere botanico, si deve al naturalista inglese James Cunningham, che spedisce alcune piante dal Chusan a James Petiver, un botanico–farmacista inglese che ne ritrae i fiori in un libretto pubblicato a Londra nel 1702. La pianta disegnata appartiene alla specie Camelliajaponica.
Dopo la segnalazione ufficiale della camelia più nota al mondo, nel 1712 il medico e naturalista tedesco Engelbert Kaempfer, ritornato da Cina e Giappone dopo avervi lavorato per la Compagnia delle Indie tra il 1690 e il 1692, pubblica alcune note botaniche dal titolo "Amoenitates exoticarum". Nell'opera si assiste alla prima descrizione di Camellia japonica, che viene denominata Tsubaki, con il nome della pianta in lingua giapponese. Nella sua descrizione il Kaempfer riferisce sull'esistenza di una tsubaki di montagna con fiori semplici e di una da giardino con fiori doppi, a dimostrazione che la pianta ha già subito da tempo cure orticole e che, in seguito a queste, ha manifestato le prime forme decorative a colori vari e con petali più numerosi.
Nel 1735 Carlo Linneo, ricevuti alcuni appunti ed essiccati dal Kaempfer, descrive la "rosa del Giappone" nella sua opera "Systema Naturae" con il nome di Camellia, dedicando il genere al gesuita moravo George Joseph Kamel (Camellius), naturalista che aveva studiato i paesi orientali verso la fine del Seicento.
Dopo qualche anno, nel 1747, in una pubblicazione di George E. Edwards, dal titolo "Natural History of Birds", viene dipinta una Camellia presente nelle serre di Lord Petre in Inghilterra.
L'introduzione vera e propria nei giardini europei risale pił o meno al 1750, con inizio nel Regno Unito e conseguente diffusione nella vicina Francia, in Belgio, in Italia, in Spagna e in Portogallo, al seguito delle principali monarchie europee. In questo periodo la camelia è ancora, quindi, una pianta da re, difficile da trovare, molto costosa da comprare, sconosciuta o quasi dai vivaisti. La plasticità genetica della camelia, però, la rende ben presto utile a molti giardinieri ed appassionati quale " materia grezza" da plasmare: molti ibridatori di corte dedicano le loro creazioni, considerate alla stregua di opere d'arte, ai propri signori o a persone note in campo politico e culturale, per cui la camelia diventa il fiore più famoso dell'Ottocento.
Il cammino intorno al mondo della camelia non si ferma in Europa, ma già dal 1798 si hanno sue notizie in Nord America (Luisiana, Alabama e, successivamente, California). La pianta si diffonde poi nei paesi temperati del Sud America (Cile, Argentina) per giungere, infine, in Australia, quasi a completamento di un ideale giro del mondo.
La notorietą di Camellia japonica in Europa deriva certamente anche dal romanzo di A. Dumas "La Dame aux Camellias" e, in un secondo tempo, dell'armonizzazione dello stesso testo da parte di Giuseppe Verdi nella Traviata, dato che il personaggio principale dell'opera si ispira a una donna parigina che ama adornarsi esclusivamente di camelie.
Benché il fiore sia ammirato per i suoi colori e la forma, ci si rammarica che non abbia profumo, e Nencioni (1880), nel suo "Inno ai fiori" scrive:
La prima Camellia japonica introdotta ufficialmente in Italia si dice sia quella della Reggia Reale di Caserta, detta "Celebratissima": la camelia pare sia stata messa là a dimora nel 1760 ed ancora adesso caratterizza gli splendidi giardini campani. La diffusione nel Regno di Napoli è estremamente rapida, sia nelle vicine città di Salerno e Napoli sia nelle isole dell'antistante arcipelago.
La camelia risale poi lungo la penisola e giunge al Centro e al Nord Italia verso la fine del '700 o l'inizio dell'800.
L'area di maggiore diffusione si trova in Toscana e in Liguria, data la presenza – in quelle regioni – di molti
coltivatori ed appassionati, ma poi la pianta arriva più a nord sino ai vari laghi: si ricorda, ad esempio, Villa Carlotta sul lago
di Como.
Gli studi degli ibridatori sono compiuti con particolare intensità in Toscana, ed il Bollettino della Società Regia di Orticoltura riporta moltissime notizie sulle manifestazioni, sui concorsi e sulle premiazioni svoltisi a Firenze, ai quali partecipano vivaisti e ibridatori che, d'altra parte, non sono solo toscani. Da un lato, quindi, aumentano i ricercatori per arricchire i vivai di vari cultivar, dall'altro le dimore dei nobili vantano un numero sempre maggiore di camelie dai colori più vari.
Come per altre specie del genere Camellia, una prima descrizione di C. sasanqua viene eseguita dal tedesco Kaempfer che passa i propri appunti a Linneo: questi, però, non li considera sufficienti per l'inserimento della nuova entità nel proprio libro di sistematica.
Solo nel 1784 si ha il riconoscimento ufficiale della specie con la pubblicazione della "Flora giapponese" di Thunberg, allievo di Linneo.
Dopo un lungo viaggio dal Giappone (Isola di Okinawa), i primi esemplari di Camellia sasanqua toccano il suolo britannico nella primavera del 1879: il pubblico, però,, non li prende in considerazione perch´ distratto dalle grandi celebrazioni in corso per Camellia japonica. I botanici floricoltori inglesi sembrano non accorgersi delle caratteristiche particolari della nuova entità, che a differenza di altre specie del genere fiorisce in pieno inverno con fiori capaci di tollerare perfino il contatto con la neve. La pianta è molto adattabile alle varie situazioni ambientali, poco capricciosa, e – soprattutto – ha fiori profumati.
Il nome giapponese di Camellia sasanqua è Sazankwa, e significa "fiore del tè della montagna" o "tè dai fiori di susino". La storia della pianta in Giappone è molto antica e risale a parecchi secoli orsono. Oltre ad essere il motivo disegnato sull'Obi (la fascia usata per il kimono) ha sempre avuto un alto valore economico perch´ il suo olio è usato per scopi alimentari e cosmetici: in cosmetica, infatti, l'olio è adoperato per ottenere capelli mossi e lucenti.
La prima illustrazione di C. sasanqua in Occidente risale al 1869 e viene eseguita in Francia da Lemaire. Riguardo all'ingresso in Europa i vari autori non concordano: alcuni sostengono, infatti, che i primi esemplari vennero portati in Italia. Il Berlese (1837), ad esempio, cita la pianta come presente a Caserta sin dal 1760, ma confonde questa entità con C. japonica.
In Inghilterra la C. sasanqua arriva, come si è detto sopra, nel 1879: gli esemplari sono stati raccolti da Miers per i vivai James Veitch & Sons. Secondo Sealy le piante coltivate prima in Inghilterra come C. sasanqua sono, invece, C. oleifera e C. mahflora (vedi avanti).
Si continua a confondere C. sasanqua con C. oleifera per tutto l'Ottocento, sino a che Wilson, nel 1913, studia meglio le due piante e consta l'esistenza di due taxa ben individuabili. Il carattere distintivo sta nella diversa disposizione degli stami, accompagnata da differenze nella consistenza delle foglie e nella tomentosità delle perule.
Questa specie viene introdotta in Occidente per la prima volta nel 1803, grazie a William Kerr, collezionista dei Kew Gardens, che trova la pianta nella regione cinese del Canton. E poi nuovamente spedita in Inghilterra nel 1811 come C. sasanqua e cresce a Kew col nome di "Lady Bank/#39;s Camellia". Così, come si è visto sopra, durante tutto l'Ottocento la letteratura botanica confonde spesso le due specie: infatti la vera sasanqua sarà coltivata in Inghilterra solo molto più tardi.
Viene portata in Occidente dal capitano inglese Richard Rawes, per ordine di Thomas Carey Palmer ed è descritta per la prima volta da John Sims (1819) come C. sasanqua "Palmer's Double". La stessa pianta è poi riconosciuta da Lindley (1827) come C. x maliflora, una specie a fiore doppio non più, ritrovata in natura. Per quanto riguarda la tassonomia l'entità viene inclusa nel vasto gruppo degli ibridi che hanno come probabile antenato C. sasanqua.
La specie viene introdotta nel 1824 dalla Cina, paese in cui cresce spontanea.
Camellia sinensis è la pianta che ci dà il tè.
Secondo una tradizione cinese, la scoperta del tè risale al 2237 a.C. e si deve a Shen Nung, uno dei mitici imperatori che governa agli albori della civiltà cinese e scopre l'agricoltura. Sia vera o no questa ipotesi, si è certi che il tè è, noto in Cina già, nel periodo Zhou (1765-256 a.C.), e viene indicato con il termine tù; in seguito, durante la dinastia Han (206-8 a. C.) è conosciuto come chà, termine generico con il quale tuttora si indica la bevanda. Molto più tardi, nel periodo Nara (709-784 d.C.), il tè arriva anche in Giappone, e via via la coltivazione si diffonde ovunque nell'Est asiatico, toccando il culmine con la nascita del "culto del tè" (il cosiddetto chado).
In Europa le prime notizie relative al tè sono portate dagli arabi, mentre anche Marco Polo accenna all'uso del tè in Oriente. Solo nel 1559 si ha in Europa la prima estesa relazione a proposito del tè, ad opera di Gian Battista Romusio.
La vera diffusione dell/ą39;uso del tè in Occidente si deve agli Olandesi, che per tutto il Seicento ne monopolizzano il commercio attraverso la "Compagnia delle Indie Orientali". La Compagnia è talmente potente da possedere una flotta e un esercito, fonda colonie e conia una propria moneta; dovrà misurarsi, in seguito, con gli Inglesi, che costituiranno una struttura ad essa analoga.
Il primo carico di tè giunge in Europa dalla Cina nel 1610, mentre il tè giapponese viene importato nel 1637. Intanto, in Russia, il tè si diffonde attraverso vie carovaniere, intorno al 1640.
A partire dal 1780, grazie all'opera di Carlo II d'Inghilterra e della moglie Caterina Borghese di Braganza, Londra diventa la capitale commerciale del tè. Da un lato la riduzione delle tasse sul tè nel 1884 permette una rapida diffusione della bevanda presso tutto il popolo inglese, dall'altro è importante, nel periodo di Giorgio III, la costituzione del tea gardens, luoghi di intrattenimento per i nobili del paese.
Verso il 1820 ha inizio la coltivazione del tè anche in India, a seguito della scoperta di Robert Bruce di una varietà locale dell'Assam [Camellia sinensis O. Kuntze var. assamica (Mast.) Kitam.]. Si hanno ben presto molte piantagioni in India e a Ceylon, e nel 1838 arriva a Londra il primo carico di tè indiano.
Questa, in pochi minuti, la storia di un viaggio che per secoli ha portato la carneha e le sue diverse specie e cultivar dall'Oriente ai nostri giardini. E ancora in corso un'evoluzione che continuerà anche nel dopo, date le nuove tecniche della floricoltura. È importante, in tutti i casi, conservare le memorie del passato e guardare con competenza e con entusiasmo al futuro che noi stessi possiamo arricchire di bellezza e di gioia.