La Camelia arrivò in Europa, precisamente in Inghilterra, nel 1739. Alla novità si interessò lord Petre che mise due esemplari ricevuti in serra calda; si registrò una sopravvivenza di due anni e poi ovviamente la fine. Negli anni successivi arrivarono altre piante, si pensa di Japonica specie, cioè con fiori assai banali, tali comunque da suscitare interesse quasi esclusivamente botanico.
La svolta avvenne nel 1792 con l'arrivo, sempre in Inghilterra della Camelia Alba Piena, una Camelia Japonica bianca, doppio perfetto, di lunga fioritura che è ancor oggi molto apprezzata.
In Italia arrivò più tardi. La data è certa, ma purtroppo girano datazioni incredibili dovute a risibili voglie di primato. In una mostra era addirittura fissato il 1730. Ancor oggi su numerosi testi si indica il 1760. Ma poi si vuole strafare e si lega l'arrivo alla storia d'amore tra l'ammiraglio Nelson e Lady Hamilton. La notizia non regge perché in quell'anno l'ammiraglio aveva qualche anno e la signora doveva ancora nascere.
Comunque certamente la prima Camelia arrivò da noi nella reggia di Caserta nel 1786 e fu impiantata nel giardino inglese voluto dalla bizzarra regina di Napoli Maria Carolina Asburgo Lorena. A supporto di ciò abbiamo numerosi riscontri tra i quali uno del 1837 del Berlese, un'autorità in fatto di Camelie, il quale parla di una pianta di Camelia nella reggia di Caserta «in fiore da più di 50 anni».
Negli anni successivi in Italia arrivarono altre cultivar; ne testimonia il famoso entomologo Targioni –Tozzetti che in «Istituzioni botaniche» del 1796, scrisse «La Camelia trovasi in alcuni giardini di amatori di fiori introdottavi da poco tempo».
La Camelia risale lentamente la penisola e trova terreno e clima favorevoli nel Lazio ed in Toscana. Gaetano Savi nel suo «Trattato sugli alberi» (Pisa 1816) scrisse: « È ormai provato che la Camelia, almeno qui nel clima di Pisa, può venire in terra allo scoperto … e ora che tra noi han cominciato a maturare i semi, e questi nascono facilmente, potremo presto renderle comuni ed acquistarne nuove varietà». Ancora il Savi nel 1816: «Sono almeno 28 le diverse varietà di Camelie che finora sono in commercio. Io per la prima volta la veddi in Firenze nel 1794 …».
A questo punto è opportuno fare un cenno a come si ottenevano e si ottengono nuove varietà (dentro la stessa specie).
In Liguria l'ultimo incrocio è, stato ottenuto nel 1916 a Bogliasco con la Camelia Maria Bagnasco.
In Europa la svolta dell'interesse del pubblico verso la nuova pianta avvenne, come già ricordato, nel 1792 con l'arrivo della Camelia Alba Piena. Nuove Camelie arrivarono dall'Oriente e nuove se ne ottenevano in Europa per sport o per incrocio.
La Camelia intanto risale verso Nord e si afferma anche là dove ci sono difficoltà, di coltura, ma l'entusiasmo vince molti ostacoli e quindi la troviamo nel Milanese, a Brescia oltre che in luoghi più favorevoli come la nostra Riviera di levante e la sponda occidentale del lago Maggiore. Pertanto c'è un fiorire di ottenitori di nuove Camelie, molti dei quali nobili o comunque grandi borghesi come:
Bouturlin di Firenze | Sacco di Brescia | |
Del Grande di Roma | Ridolfi di Firenze | |
Franchetti | Guicciardini di Firenze | |
Longhi di Verbania | Pizzatti di Milano | |
Rovelli di Verbania | Borrini di Lucca | |
Santarelli di Firenze | Casoretti di Milano | |
Odero di Genova | Maggi di Brescia | |
Bagnasco di Genova | Nencini di Firenze | |
Riccardi | eccetera |
Del periodo ottocentesco ci restano molte Camelie, ancor oggi pregiate e che comunque sono nei nostri giardini. Le Camelie che saranno esposte a Palazzo Ducale sono molto belle, molte sono ottocentesche, ma numerose sono senza nome. La questione della nomenclatura è annosa, ma in Italia a lungo si è trascurato lo studio di questa pianta e l'aver avuto come principale interesse il lucro ha fatto sì che nel 1965 si constatava che la maggior parte delle Camelie dei nostri giardini non hanno nome o ne hanno uno errato. li più, i nostri vicini francesi e belgi acquisivano le nostre nuove cultivar e poi le esportavano come proprie. Dal 1966 la Società Italiana della Camelia ha intrapreso un serio e approfondito studio per l'identificazione delle nostre varietà per tentare anche un recupero di quelle che girano il mondo, ma con nomi stranieri.
Il recupero sarà, compito della Società Italiana della Camelia, ma l'identificazione può dipendere da tutti noi e se studieremo e saremo attenti avremo la possibilità di scrivere un pezzo della storia del camelieto di Villa Durazzo Pallavicini nel quale troppe Camelie sono prive di nome.
Gli stranieri giudicano il nostro comportamento verso questa pianta
Il Borlese, un'autorità già ricordata, ci parla dei coltivatori napoletani e li giudica pigri per quanto riguarda la ricerca di nuove varietà: «La natura ha fatto tanto per loro, ma essi non fanno nulla per aiutare la natura». Più ottimistico il giudizio sui fiorentini che egli indica come appassionati propagatori di varietà vecchie e nuove. I lombardi, univano a lodevoli capacità tecniche, uno spirito di intraprendenza non sempre lodevole: «Buttano in commercio una gran quantità di Camelie di nessun merito con nomi enfatici, ampollosi e privi di senso».
Anche Luigi Colla sui Camellicoltori del passato afferma: «Intenti principalmente al lucro, poco curano la scienza, seguono la moda e non l'esattezza scientifica».
Tuttavia si ottennero nuove varietà ancor oggi pregevoli. Effettivamente i coltivatori italiani ottocenteschi possono oggi essere accusati di mancanza di iniziativa nell'importare nuovi soggetti dal Giappone e dalla Cina come invece facevano gli Inglesi e più tardi Francesi, Americani, Australiani e Neozelandesi i quali oggi con specie diverse sono arrivati agli ibridi, quasi sconosciuti da noi e hanno ottenuto le prime piante con fiori profumati.
In Italia è possibile oggi vedere Camelie a: