È stato oggi molte volte affermato che con l'inizio del secolo scorso si è avuta l'introduzione della Camelia nelle coltivazioni europee.
Dobbiamo a questo punto osservare che l'introduzione di questa importante pianta in Liguria precede certamente la comparsa della floricoltura industriale: veniva coltivata nelle ville patronali dai «manenti» che avevano a disposizione una piccola parte del terreno per poter coltivare ortaggi e fiori, una parte dei quali potevano esitare sui mercati della città o delle città vicine. E il cosiddetto contratto di «manentato» che ha origini molto antiche e che ha regolato i rapporti per secoli tra padronato e classe contadina nella Liguria. Qualche cosa di simile avveniva nei traffici di mare con la concessione ai marinai, da parte degli armatori, di poter svolgere piccoli commerci, con la cosiddetta «paccottiglia».
Per questi rapporti che hanno regolato l'agricoltura ligure per secoli ci si può riferire alla preziosa letteratura storica relativa ai primi secoli di questo millennio ricavata dal «Registro Arcivescovile di Genova» pubblicato nel 1873 dalla Società, di Storia Patria di Genova. Vi si trattano le condizioni relative alla esecuzione dei lavori agricoli ed ogni sorta di regolamentazione contrattuale. Di fatto tutte queste regole ed usi sono stati validi sino all'avvento dell'agricoltura industriale e nel nostro caso della floricoltura, ossia nei primi periodi del secolo scorso.
Non è questa la sede per esaminare ed approfondire il problema della data della prima presenza della Camelia in Liguria. Bisogna in ogni modo chiarire che la data della prima presenza nel collezionismo è per la Camelia, come per ogni pianta, antecedente di qualche decennio rispetto alla data di inizio di coltivazione industriale. Una pianta prima diventa soggetto botanico da collezione, successivamente, ma solo qualche volta, diventa pianta per la coltivazione commerciale. Negli orti durazziani, quello di Pegli, quello della villetta di Negro e quello dello Zerbino non sembra presente la Camelia. Molto probabilmente ciò è dovuto al fatto che il criterio di scelta delle piante da collezionare in questi Orti Botanici risentiva della particolare funzione didattica. Si preferiva collezionare e coltivare specie che avessero maggiore attinenza con gli interessi botanico farmaceutici. Nei primi dell'800 questi giardini venivano ampiamente utilizzati dal corso di botanica farmaceutica dell'Università. L'orto Botanico Universitario cominciò a funzionare, infatti, solo nel 1803 per interessamento di Domenico Viviani.
Il Berlese nel 1837 nel descrivere le coltivazioni e forse anche le collezioni della Camelia in Italia cita in ordine di importanza Napoli, Firenze, Milano ed i laghi prealpini settentrionali, lago Maggiore, di Como e d'Iseo.
Alphonse Karr, il fondatore della floricoltura industriale in Francia, esule in Italia per l'opposizione a Napoleone III, abitò a Genova, poi a Nervi, Nizza e a S. Raphael. Scriveva in tono quasi dispregiativo nel 1852 da Nervi dove in quel tempo abitava: «Genova dal punto di vista floricolo non è altro che una grossa fabbrica di Camelie».
All'inizio del secolo scorso, quindi, in Liguria non esisteva una floricoltura in senso industriale, non esistevano grossi consumi, non esistevano vivai. Solo nelle ville signorili e dei nobili esistevano coltivazioni di modesta entità, e produzione che potevano creare un piccolo commercio. Genova accanto ai prodotti dell'orto, esitati ad esempio sul mercato del prato del Vastato, oggi piazza Nunziata, ed altre piazze adibite a mercato, si trovavano i prodotti floricoli stagionali provenienti dai manenti genovesi accanto alla frutta e alle verdure. Con le loro «cavagne» colme di verdura si portavano a maggio i petali di rosa per fare lo sciroppo; prima di Natale il muschio per fare il Presepio; prima della Pasqua le palme tenere per fare i «parmé» assieme alle peonie violette a fiore grande; ad agosto gli amarilli della specie «Belladonna»; in primavera i narcisi, il «sciu de portuga» ossia il fior d'arancio per i mazzolini da sposa, ecc. Accanto a questi fiori timidamente apparivano i fiori «nuovi» come le camelie, le gardenie, il fiore di pesco a fiore doppio, le tuberose coltivate a S. Ilario, ecc. Naturalmente non esistono mercuriali e statistiche dei prodotti floricoli sia per il periodo preindustriale che determinò con l'avvento della ferrovia la fine di questo tipo di commercio minore, sia per il periodo, diciamo così, industriale che segue immediatamente e che si allinea con la nascita dell'industria del forestiero e dei bagni di mare. Una autentica rivoluzione per Genova e la Liguria.
Certo che lo sviluppo della coltivazione della Camelia in Liguria ha trovato subito ostacoli di ordine naturale e quindi finanziario di notevole importanza. Voglio riferirmi al fatto che da Ventimiglia sino a Sarzana tutti, o quasi tutti, i terreni agricoli sono così a tendenza alcalina, cioè, con un pH molto alto, da non permettere la coltivazione in pieno campo delle piante acidofile. La Camelia in Liguria ha sempre avuto bisogno di strutture, vasi o cassoni, in modo che il contenimento del mezzo di coltivazione assicuri una adeguata acidità. Ciò è stato necessario anche per la gardenia, il rododendron ed altre ericacee, alcune felci ed altre piante da giardino. Tutto questo ha provocato un aumento di spesa rispetto alle stesse coltivazioni praticate in altre parti d'Italia dove il terreno possiede un pH notevolmente più basso e permette quindi le coltivazioni in pieno campo.
Lo sviluppo di queste coltivazioni in questi due secoli ha però dimostrato come il mercato sia riuscito a superare quasi sempre questo forte handicap. Mi è stato possibile seguire l'andamento e più che altro la qualità delle produzioni attingendo dalle relazioni degli organizzatori delle varie mostre fioricole che a Genova avevano luogo in tutto l'ottocento prima al palazzo dell'Annona, proprio dove oggi abbiamo i binari di testa della Stazione Principe, nel tratto verso piazza Acquaverde o della Villetta Serra all'Acquasola o all'ex convento della Pace in via S. Vincenzo o a Villa Doria Pamphili a Fassolo dove si è, svolta la grande mostra floricola del quarto centenario per la scoperta dell'America o, più tardi, nei Saloni del Giardino d'Italia in piazza Corvetto, o nel vecchio Seminario oggi sede della Cariplo e della biblioteca Franzoniana, o nel ridotto del Carlo Felice, o nel Salone del Gran Consiglio a Palazzo Ducale e finalmente nella forma definitiva e degnissima nella sede del Quartiere fieristico di Genova alla Foce.
Ma il tema dell'attività vivaistica della Camelia non lo si può trattare se non lo si pone in un contesto internazionale.
La Camelia è, pianta abbastanza resistente ai trasporti per cui gli scambi di piante e parti di pianta sono sempre avvenuti con
una certa intensità superando spesso i danni provocati dalle lungaggini dei trasporti.
Tenendo conto di ciò, se vogliamo seguire l'andamento delle produzioni vivaistiche o industriali dobbiamo subito dire che Camelia è stata la pianta più importante, dal punto di vista commerciale, esposta a Gand nel 1809 nella prima Floralies tenuta nel ristorante «Frascati». In quel tempo, prima del congresso di Vienna del 1815, il regno del Belgio non esisteva ancora. La mostra si tenne quindi, si potrebbe dire nell'Impero francese, a Gand, la città, di Carlo V. Al Congresso di Vienna, questa città diventa territorio del Regno dei Paesi Bassi e solo nel 1830 città, del regno del Belgio.
La pianta più, importante e più premiata non fu, come invece si potrebbe credere, l'azalea o l'orchidea ma una Camellia japonica. Solo successivamente la Camelia lascia spazio per parecchi decenni ad altre piante.
Molti floricoltori liguri partecipavano alle mostre straniere, diverse varietà venivano importate ed esportate. Passiamo rapidamente in rassegna gli stabilimenti orticoli che sono stati in Liguria protagonisti in questi due secoli di attività vivaistica della Camelia.
La coltivazione più importante e più antica in senso assoluto deve certamente essere stata quella della ditta «Fratelli Bagnasco 1832» di Pieve Ligure. Questa ditta, composta dai fratelli Michele, Carlo e Giacomo e dai familiari, sino a cinquanta anni or sono si trovava ancora sull'Aurelia all'inizio di Pieve. Aveva pure una succursale a San Fruttuoso, una a Bogliasco in località Buggi dove si tenevano esclusivamente grandissimi esemplari per il fiore reciso, altra sempre a Bogliasco vicino a Villa Porrini.
La ditta venne rilevata dopo l'ultimo conflitto dalla Crovetto di Bogliasco. L'azienda venne abbandonata per far posto a costruzioni edili. Una parte di queste piante adulte vennero acquistate da Ulderico Ferrari. Le piante più adulte, coltivate in attesa di essere esitate sul mercato come esemplari a pronto effetto e per la raccolta del fiore reciso, vennero purtroppo svendute e molto probabilmente male utilizzate.
Nel lungo periodo di buona attività la ditta era specializzata nel commercio di Camelie come fiore reciso in Germania, in Russia ed in Austria.
Le confezioni avvenivano a fiore «sbroccato», in cassette di canna; in ogni cassetta 100 fiori venivano immersi nel cotone o in bambagia industriale. Le varietà preferite erano le doppie con cinque ed oltre file di petali.
Si tratta di uno dei maggiori, se non il maggiore stabilimento orticolo, che mai sia esistito in Liguria. Si trovava nella metà
del secolo scorso a S. Fruttuoso allora comune autonomo, proprio dove oggi esiste la stazione merci di Terralba. La creazione dei
grandi piazzali ferroviari, il mercato di Corso Sardegna, piazza Martinez, il complesso di vie tra piazza Giusti sino a via Enrico Torti, ha distrutta tutta l'agricoltura di questo comune che oggi è
conglobato nella città.
Nella prima metà del secolo scorso esisteva questo stabilimento botanico che pubblicava un ricco catalogo e altresì un mensile dal nome: «L'Orticoltore Ligure» che ebbe vita per una decina di anni. Le varietà di Camelie sono ben 216. Dal nome di talune si intuisce che molte sono state ibridate nella stessa azienda. Una notevole parte di esse erano innestate. La specialità maggiore riguardava la vendita di piante per giardino.
Nel campo degli ibridatori della Camelia in Liguria il personaggio certamente più interessante è Guido Mariotti (22.02.1877 – 24.04.1954) operante a Nervi nella prima metà di questo secolo.
Era nato a San Casciano VaI di Pesa vicino a Firenze, aveva frequentato i corsi di giardinaggio della scuola di fioricoltura di Firenze del prof. Angiolo Pucci, uno dei più importanti studiosi italiani di floricoltura. Il Mariotti, giovanissimo, venne poi chiamato alla scuola agraria di S. Ilario per tenere un corso di agricoltura coloniale. Eravamo ai tempi della guerra libica e tutte le scuole agrarie avevano l'ordine di mutare per quanto possibile gli insegnamenti per adeguarli alle prospettive ad indinzzo coloniale come da disposizioni governative. Mariotti è una figura eclettica, ricca di interessi. Dopo qualche anno di insegnamento volle mettersi in attività propria, lasciò la scuola, trovò lavoro dal floricoltore Boero in via Marco Sala, poi con i suoi risparmi acquistò un terreno nel viale delle palme a Nervi e si dedicò alla coltivazione ed al commercio. in particolare alla ibridazione.
Nel 1911 partecipò all'Esposizione Internazionale di Orticoltura di Firenze con una collezione di Camelie in fiore dove ottenne un diploma con medaglia d'argento. Partecipò all'Esposizione Floreale di Genova che si tenne nel ridotto del teatro Carlo Felice nel giugno del 1913 dove ottenne la gran medaglia d'oro per garofano a grande fiore, forse poteva essere la «cav. Tomasini». Nel 1928 partecipò a Torino ad una Esposizione Internazionale di Orticoltura dove ottenne una medaglia d'oro per la presentazione di una collezione di Camelie. Nell'aprile del 1933 all'Esposizione Internazionale di Valentiennes dove ottenne un gran premio d'onore. Nel 1933 partecipò a Gand ed ottenne un diploma di medaglia d'oro per la presentazione di una magnifica collezione di Camelie, nel 1934 gli venne assegnato da parte del Ministero il Diploma al Merito Rurale.
Guido Mariotti era un ibridatore specializzato, fuori dalla regola, in quanto il miglioramento genetico non faceva parte per lui di una serie di attività giardinieristiche ma costituiva la principale di tutte le attività,. L'ibridazione non poteva in quel tempo essere attività esclusiva in quanto sino alla pubblicazione del DPR 11. 274 del 12 agosto 1975 non esisteva una normativa nazionale e poi internazionale per cui l'ibridatore operava senza una rete protettiva. Un ibridatore non avrebbe potuto vivere con i ricavi del solo miglioramento vegetale senza una integrazione dei profitti che potevano derivare dal giardinaggio. I risultati delle ibridazioni potevano essere utilizzati da ogni floricoltore, mancava in Italia il diritto d'autore per la novità vegetale. Nonostante ciò in quel tempo da Sanremo Mario Calvino scriveva e dedicava ai fioricoltori un opuscolo sui modi e le tecniche della ibridazione.
Giudo Mariotti (22.02.1877 – 24.04.1954) operante a Nervi nella prima metà di questo secolo,
maggiore ibridatore ligure nel settore delle Camelie.
|
La prima pagina del ricco catalago della ditta di Guido Mariotti di Nervi, altamente specializzata nella
ibridazione e nella produzione delle Camelie.
|
La teoria e la tecnica della ibridazione e del miglioramento vegetale doveva, secondo il Calvino, essere a conoscenza di tutti i floricoltori. Questo concetto per cui anche il semplice floricoltore doveva essere capace di poter eseguire tutte le tecniche operative, anche le più sofisticate, era stato portato avanti ancora prima da Lodovico Winter, il fondatore della Iloricoltura in Liguria. La ibridazione della Camelia si può considerare abbastanza facile nelle tecniche e nelle manualità almeno se confrontata con quella di altre piante come orchidee e garofano. Oggi invece esistono precise norme internazionali per cui una cultivar per essere tale deve, secondo quanto previsto dalla «Union International pour la Protéction des Obtention Vegetales» (U.P.O.V.), rispondere positivamente ai requisiti di omogeneità, stabilità e distinzione da ogni altra cultivar notoriamente conosciuta. Se il prodotto ottenuto non risponde almeno a questi requisiti non si tratta di nuova cultivar, ma di copiature e repliche senza valore scientifico e commerciale.
La vita degli ibridatori era quindi piena di difficoltà. Mariotti però non ibridava solamente la Camelia, settore dove ottenne i migliori risultati come dimostrano le varietà ancora oggi coltivate e riportate nei cataloghi italiani ed esteri, cito la varietà, «Maria Bagnasco» ottenuta nel 1912, la varietà «Bogliasco», la varietà «Anna Mariotti», la «Palazzo Tursi» rosa con orli bianchi, la «Ferruccio» color rosso scuro a fiore grande, la «Tito Odero» rosa variegato ed un numero vastissimo di altre pregevoli varietà. Nel suo catalogo edito nel 1924 elenca ben n. 224 varietà della specie japonica in gran parte innestate. Come la maggior parte dei cameliofili liguri il Mariotti non si interessò, molto della Camellia sasanqua o di altri generi e specie di Theaceae come il genere Gordonia ed altre anche se il carattere profumo esistente in molte varietà della sasanqua lo interessò,. Su questo argomento scrisse anche un pregevole articolo sulla rivista agraria «Cerere» nel 1932.
Ottenne una varietà della specie japonica leggermente profumata. La quantità, di varietà presenti nel suo vivaio, ripeto 224, era maggiore rispetto alla quantità di Camelie presentate in catalogo dalla Castagnola e Casabona di San Fruttuoso con n. 216 varietà.
Ottenne ottimi risultati anche col garofano, famosa la varietà «Cav. Tomasini» dall'enorme fiore dal diametro di cm. 15, bianco screziato di rosso, e la varietà «Toresa Morace» dal fiore rosso brillante.
Nella gardenia ottenne una varietà di un certo successo, la «Regina Elena», molto caratteristica per avere un fiore giallo. Malgrado le mie lunghe ed insistenti ricerche in Italia ed all'estero non mi fu possibile trovare traccia di questa varietà nelle coltivazioni o nelle collezioni. Nelle varietà, a fiore bianco notevole fu la varietà «Prof. Angiolo Pucci», la «Prof. Carolina Valvassori», la «Comm. Vittorio Stringher» e la «Prof. Sante Lanchini». È comprensibile come il Mariotti abbia dedicato al suo Maestro il prof. Pucci della Scuola Orticola di Firenze una delle sue più importanti gardenie.
Nel campo delle orchidee si dedicava alla ibridazione del Cypripedium (Selenipedium); da ricordare una cultivar, miglioramento della specie insignis, che fu chiamata «Mariotti».
Molto importante fu per questo ottenitore la ibridazione della Mimosa: ottenne varietà a fiori bianchi partendo dalla specie «albicans» originaria dell'Australia. Queste mimose avevano però il difetto di essere molto calcifughe, essere poco affini con i portainnesti locali per cui vennero presto abbandonate sia dal Mariotti sia dai floricoltori che avevano ricevuto il materiale di propagazione. Altre mimose che meritano di essere ricordate sono la varietà «Giuseppina Crovetto», la «Alfonsina Girardi», la «Mariotti n. 14».
Dobbiamo doverosamente ricordare che nel settore della Camelia vi sono stati altri floricoltori che hanno ottenuto in Liguria cultivar importanti come Carletto Bianchi di Sant'Ilario, Erminio Schenardi di Cornigliano, Giuseppe Narizzano di Genova e Alessandro Botti di Chiavari. Le principali cultivar di quest'ultimo, come la «Amalia Botti», la «Dittatore Garibaldi», la «Bella di Chiavari», sono state a lungo moltiplicate dalla Castagnola e Casabona di S. Fruttuoso.
Quest'azienda si trovava a Bogliasco e sotto certi punti di vista può considerarsi come una fase, l'ultima, della «Fratelli Bagnasco 1835» di Pieve Ligure. Le piante adulte coltivate, per la gran parte, provenivano dalla Bagnasco 1835. Il Ferrari operante a Bogliasco negli anni '50 – '60 è stato un giardiniere autodidatta ed improvvisato, proveniva dall'America Latina dove aveva svolto altre attività.
Nonostante ciò è stato un floricoltore molto intelligente e colto, bravissimo tecnico, in particolare nel settore delle Camelie. Nella prima Euroflora, nel 1966, presentò un'ottima aiuola con camelie e gardenie in grandi esemplari. Volle chiamare la sua azienda «Le Camelie». Si interessò molto per la vendita del fiore reciso che era attività già, in disuso.
La produzione ligure delle Camelie verteva sino a cinquanta anni or sono sulla produzione di fiore reciso da utilizzarsi nelle composizioni floreali. Si staccava con una lieve distorsione il fiore dalla pianta proprio al di sotto del calice, si metteva in cestini di canna e veniva ricoperto da cotone od ovatta.
È facile capire il motivo di questo tipo di produzione di fiore reciso. Infatti quando si vuole allevare piante adulte da collocare in ville di nuova formazione è necessario o per lo meno molto conveniente trovare il modo di utilizzare il fiore che copiosamente ogni anno le piante ci mettono a disposizione. Una produzione ed un consumo quindi collegato ad un altro.
In definitiva, sempre per ordine di importanza le varie utilizzazioni della Camelia nel mondo vivaistico sono sempre state:
Non mi risulta che siano state coltivate Camelie per fronda, tipo di produzione citata dal libro sulla Camelia del Ghisleni per le coltivazioni del lago Maggiore. Nel catalogo «Fronde e foglie» edito a cura del Mercato dei fiori di Sanremo del 1996 non si fa infatti menzione di questo tipo di commercializzazione in Liguria, nemmeno per materiale proveniente da altre regioni.